Stanze aperte, occhi
chiusi
A partire dal 22 dicembre è
stato in proiezione il docufilm “Le stanze aperte” di Francesco e
Maurizio Giordano, girato quasi interamente all’interno dell’Ospedale
Psichiatrico Giudiziario di Napoli – Carcere di Secondigliano- Scampia. Gli
autori, co-produttori del film, hanno deciso
di sottoporlo al pubblico in tre date diverse, ospitati nei quartieri
del Vomero alto, del centro Vomero e di Scampia-Melito. In tutte e tre le
occasioni, il film ha riscosso grande successo in un pubblico sicuramente
variegato ma sempre interessato alle domande che il film pone allo spettatore.
Sicuramente su tutti spicca l’opinione del Console di Francia Christian
Thimonier che ha affermato che un buon film è, a suo parere, quello che cambia
lo spettatore e che a lui è capitato
proprio questo. Forse un buon film è anche quello che cambia un autore e gli
consente di migliorarsi riattivandone la creatività, dandogli gli stimoli
giusti per continuare a realizzare testi per immagini, spingendolo a perseguire
l’idea che il cinema è una straordinaria “scuola di cultura”. Le stanze si sono
aperte ma molti occhi non hanno visto il film: in particolare “il popolo della
rete” a cui anche noi abbiamo accesso e che ci consente di comunicare le nostre
attività in modo rapido ed ampio. Stavolta la rete non ha quasi raccolto il
nostro invito alle proiezioni, poiché la rete “non esiste”, è anonima, evita il
contatto e pertanto non si sente responsabilizzata, spinge a dire Mi piace con la leggerezza del vento e,
cosa più grave di tutte, convince che i contatti sono altrettanti amici.
Personalmente non sono su
facebook e non mi va di esserci, non credo mi serva a livello individuale, non
sono sicura che per un’insegnante sia una buona idea. Credo nei meriti dei
social network, ma anche che non bastino ad una società complessa come la
nostra, che ha invece bisogno di ritrovare se stessa attraverso l’elaborazione
di reti “reali” da tessere per ricostruire, sulle macerie, il vecchio mondo dei
valori e delle ideologie. Inoltre è a livello individuale che il “social” non
sempre ci può stare, poiché rischia di diventare il surrogato di sfoghi,
confidenze, litigi o fraintendimenti che a nulla e a nessuno giovano. Credo
invece che sia il momento di aprire, oltre alle stanze della mente, i nostri
occhi sul mondo e cercare di vedere in superficie e guardare nel profondo di un
tempo e di un luogo che sta perdendo la sua umanità.
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